FRIEDRICH VON HAYEK: IL VERO PADRE DELLE CRYPTO

In uno recente approfondimento pubblicato sempre qui sul nostro blog, abbiamo introdotto quella che gli economisti chiamano Scuola Austriaca, le sue principali teorie ed i suoi maggiori esponenti.
Approfondiamo ora la conoscenza di uno di questi esponenti, Friedrich Von Hayek, che con i suoi studi ha predetto, circa mezzo secolo fa, l’avvento di Bitcoin e delle crypto in generale.
CRIPTOVALUTE, BLOCKCHAIN E FREE BANKING
Partiamo allora con la nostra dissertazione odierna parlando di Free Bankig. Non importa che tu sappia già o no di cosa si tratta, anche se è forse facilmente intuibile per chi mastica un po’ di inglese.
Il free banking è, per definizione, un sistema di credito svincolato dall’esistenza delle banche centrali, attualmente, però, con l’utilizzo di questo il termine ci si riferisce a una teorizzazione compiuta da Von Hayek negli anni Settanta del secolo scorso.
Il modello prevede che ogni banca privata partecipante al sistema bancario libero, sia indipendente ed emetta moneta fiat (cartacea priva di valore intrinseco). Emergono quindi notevoli somiglianze tra questo sistema e quello delle criptovalute. Le ultime sono emesse da società o organizzazioni private e circolano grazie alla fiducia che gli utenti nutrono nella piattaforma dalla quale sono emesse. La tecnologia blockchain consente di creare scarsità digitale e di evitare il fenomeno tipico di Internet della duplicazione, che nel caso specifico delle crypto genera il cosiddetto double spending.
Oggi, nel 2021, è normale che gli enti centrali detengano il monopolio dell’emissione di moneta. Le valute odierne vengono emesse da banche centrali (la BCE, la FED, etc. etc.), le quali ne regolano il volume di circolazione e stabilizzano il valore attuando varie politiche monetarie.
Queste monete rientrano nella categoria delle fiat money, valute che, a differenza delle commodity money, sono prive di un valore intrinseco. Gli utilizzatori hanno fiducia nell’ente emittente (banca centrale, governo) e ciò ne attribuisce il valore; il corso forzoso ne consente, invece, l’accettazione come metodo di pagamento/estinzione garantendone la circolazione. Le monete attualmente valide sono quindi gestite come monopolio dalle banche centrali e dai governi degli Stati. Fin qui sembrerebbe tutto normale ma solo se contestualizzato nel nostro periodo storico perché in passato non è sempre stato così.
Qualche cenno storico come esempio:
- il periodo di cosiddetto free banking che si ebbe in Svizzera per tutto il 1800 e in Scozia tra il 1716 e il 1845;
- Anche in Italia, tra il 1877 e il 1879, vi furono alcuni tentativi di riforma che ebbero come obiettivo l’abolizione del corso forzoso e l’introduzione del free banking, promossi ma mai portati a termine dall’allora Ministro dell’Agricoltura, Industria e Commercio Salvatore Majorana Calatabiano.
Tutto ciò è però precedente all’invenzione del concetto di moneta fiat: essi furono, infatti, caratterizzati dall’emissione competitiva di banconote basate su standard monetari imperniati sul controvalore dei metalli preziosi.
Dunque riprendendo il discorso, come già anticipato il termine free banking viene solitamente riferito a una teorizzazione compiuta dal nostro caro vecchio amico Von Hayek negli anni Settanta.
Il suo modello prevede che ogni banca privata, partecipante al sistema bancario libero, sia indipendente ed emetta moneta fiat (cartacea priva di valore intrinseco).
Il valore della moneta viene quindi affidato alla reputazione che le banche riescono a guadagnarsi: a banca virtuosa corrisponde un valore maggiore ed un più alto livello di accettazione della moneta da essa. Un sistema di questo tipo genererebbe quindi una competizione tra istituti emittenti al fine di incrementare gli standard di affidabilità bancaria e permetterebbe un’auto-stabilizzazione del mercato monetario, che rimarrebbe comunque stimolato a innovarsi e migliorare.
Il sistema di free banking teorizzato da Von Hayek, però, non è mai stato realizzato nella pratica. Esso prevedeva (o prevede) che le banche emittenti moneta potessero essere fondate come una qualsiasi altra impresa commerciale; dovevano sottostare esclusivamente alle norme di diritto commerciale, non necessitando di alcun tipo di autorizzazione da parte delle autorità pubbliche. Requisito indispensabile era la capacità di raccogliere i fondi necessari e idonei a guadagnarsi la fiducia di clienti e investitori.
Un sistema come questo avrebbe dato ad ogni banca gli stessi diritti delle altre e rendendole al contempo soggette alla stessa responsabilità delle imprese commerciali attive in mercati differenti. Le note di banca emesse da tali istituti di credito, sempre secondo Von Hayek, sarebbero state delle obbligazioni e quindi convertibili (su richiesta) in un mezzo di scambio generalmente accettato. Nessuna banca avrebbe potuto imporre il corso forzoso della propria moneta o addirittura ricevere aiuti mirati dai governi. In caso di fallimento sarebbe invece stata applicata la normativa fallimentare classica.
Alla luce di ciò possiamo affermare che l’abbandono di uno standard basato su un mezzo di scambio generalmente accettato (ad esempio un metallo prezioso) sarebbe insostenibile per un sistema del genere.
LE CRYPTO: GLI EXCHANGE E LE POLITICHE MONETARIE
La scarsità digitale consente alle criptovalute di essere passibili di una valutazione economica. Il loro valore in denaro corrente è determinato dal prezzo unitario all’intersezione tra curva di domanda e di offerta. Va tenuto presente che le valutazioni osservabili sui principali siti di trading online di criptovalute sono una media del valore di tutti i prezzi di una data valuta in tutti i mercati dei diversi crypto exchange.
Il funzionamento alla base degli exchange di criptovalute è pressoché lo stesso di quelli tradizionali (come ad esempio la Borsa Italiana), l’unica particolarità è data dall’esistenza di due tipologie di exchange: decentralizzati e centralizzati.
Negli exchange decentralizzati il possesso della valuta è in capo all’utente che la contratta, il quale personalmente propone e accetta i prezzi.
Negli exchange centralizzati, di gran lunga i più utilizzati, il possesso delle criptovalute è in capo stesso all’exchange che le detiene. Va detto per correttezza che, non essendoci alcun tipo di regolamentazione circa il loro prezzo, la loro quotazione è estremamente volatile ed ogni investimento su di esse risulta essere rischioso per utenti non esperti.
Ricorda, anche se può sembrare una banalità, che sono molteplici i modi per poter avere accesso alle criptovalute: diventare un miner (che di fatto, le “estrae” diventandone proprietario a titolo originario), riceverle da qualcuno, partecipare ad un ICO (Initial Coin Offering) o affidarsi agli exchange sopra descritti. L’accesso alle criptovalute dipende anche dalla piattaforma emittente: alcune di esse, tipo Ripple, non sono minabili.
I Bitcoin vengono emessi seguendo una politica monetaria prestabilita dal codice sorgente. Come tutti sannio il numero massimo di bitcoin estraibile è pari a 21 milioni; raggiunta questa cifra non sarà più possibile estrarne altri. Nello specifico parliamo di cinquanta BTC ogni dieci minuti che si dimezzano ogni quattro anni. Quindi nel 2009, anno della creazione di Bitcoin, la ricompensa per ogni blocco ammontava a 50 BTC, nel 2018, invece, venivano minati 12,5 BTC per ogni blocco. Nel 2022 sarà possibile estrarre solo 6,25 BTC per blocco e così via.
Gran parte degli osservatori, a causa di questa caratteristica, la quale rende i bitcoin un bene potenzialmente esauribile e finito, ha accostato questa criptovaluta all’oro. Secondo queste tesi Bitcoin sarebbe l’equivalente digitale dell’oro e potrebbero essere considerati come un bene rifugio di nuova creazione.
Non tutte le valute virtuali hanno però le stesse caratteristiche del Bitcoin. Altre monete, come la già citata Ripple, che viene largamente utilizzata dalle banche tradizionali come valuta ponte per effettuare pagamenti transfrontalieri e operazioni interbancarie, attuano una politica monetaria centralizzata. La società emittente decide così quando aumentare e ridurre il volume circolante in base agli obiettivi da raggiungere.
Altre criptovalute dette stable coin, basano il loro valore, che tende a essere stabile nel tempo, su altre valute o commodity (per esempio l’oro). Una di queste è Tether, il cui valore è garantito da un collaterale basato sui dollari americani: 1 USDT (Theter) vale 1 dollaro. La politica monetaria di questa piattaforma è basata sulla richiesta e non vi è un numero massimo di criptovalute prestabilito.
Ogni USDT ha un corrispettivo in dollari depositati in alcuni conti bancari. Urge però sottolineare il fatto che il management della società emittente non abbia mai dato, secondo gli esperti del settore, sufficienti garanzie circa l’esistenza di questi depositi bancari, perciò molte persone considerano questa criptovaluta una truffa.
UN SISTEMA FREE BANKING DE FACTO
Tutti questi fenomeni si avvicinano molto al sogno di Hayek di denazionalizzazione della moneta e competitività tra monete libere. Ad ottobre 2020 le criptovalute erano 3783 ed il numero continua ad aumentare (fonte Coinmarketcap). Ogni moneta ha alla base una propria blockchain, e quindi proprie regole, propria politica monetaria e caratteristiche, spesso orientate all’utilizzo per il quale sono state progettate.
Le crypto costituiscono, de facto, un sistema di free banking alternativo e parallelo al sistema bancario “tradizionale”, in esse coesistono caratteristiche tipiche sia delle monete sia dei beni giuridici sia degli strumenti finanziari. Difficile dare una definizione giuridica del fenomeno.
Se le vediamo nell’ottica di un mezzo di scambio, le criptovalute rientrano sicuramente nel fenomeno del free banking. Sono infatti accettate liberamente dalle parti, e la loro circolazione è strettamente collegata alla fiducia degli utenti nella piattaforma emittente.
Nel contesto di forte innovazione digitale che stiamo attraversando le crypto offrono una maggiore democraticità nell’accesso al credito, oltre ad essere chiara a tutti la vena internazionalista di questi mezzi di pagamento sempre più attuali.
Le valute virtuali e la tecnologia blockchain (così come tutte le sue applicazioni) possono essere considerate come una tecnologia “disruptive” su più livelli. Il mondo delle relazioni giuridico-economiche al quale siamo abituati sta correndo il serio rischio di completa rivoluzione grazie a queste invenzioni.
Oltre alle crypto altre applicazioni della blockchain, come le DAO (Decentralized Autonomous Organization) e gli smart contract si apprestano a entrare “di diritto” in quella che ormai è definita quarta rivoluzione industriale.
Prima di iniziare il capitolo finale di questo nostro approfondimento odierno risulta doveroso menzionare la critica più comune mossa a queste “nuove” valute: come possiamo considerarle monete se non ci possiamo acquistare dei beni?
In realtà chi critica così evidenzia una scarsa conoscenza del tema delle transazioni su blockchain, che seppur complesso, ne consente la mobilitazione anche per compiere acquisti. La critica risulta invece accurata se pensiamo all’uso più comune che viene fatto delle criptovalute ovvero quello speculativo.
In questo caso risulta impossibile compiere acquisti perché solitamente gli exchange consentono agli utenti solamente l’uso speculativo di esse. L’ente in questo caso ne detiene il possesso e ne consente la negoziazione al solo fine di ottenere una plus o minus-valenza dovuta alla differenza tra prezzo di acquisto e di vendita.
Tuttavia non si tratta dell’unico utilizzo: esse possono essere acquisite a titolo originario attraverso l’attività di mining, oppure ricevute tramite una transazione o se si ha partecipato a una ICO (Initial Coin Offering). In questi casi si possono compiere transazioni direttamente con gli operatori i quali le accettano come metodo di pagamento.
Per quanto riguarda il nostro ordinamento, un pagamento in criptovalute può essere contrattualmente ricondotto all’istituto della datio in solutum, ciò ne consentirebbe la circolazione come mezzo di pagamento contrattuale dando efficacia solutoria allo stesso.
SECONDO IL CODICE CIVILE
Il nostro ordinamento prevede l’articolo 1197 del Codice civile, rubricato “prestazione in luogo dell’adempimento”, che stabilisce al primo comma: “Il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consenta. In questo caso l’obbligazione si estingue quando la diversa prestazione è eseguita”.
Se il creditore consente che la prestazione pecuniaria a carico del debitore sia eseguita con un trasferimento di Bitcoin, il debitore si libera compiendo la transazione. È necessario, però, individuare il momento preciso in cui questa obbligazione si possa considerare adempiuta a tutti gli effetti.
Il debitore nell’adempiere all’obbligazione deve rispettare i principi di correttezza e diligenza, per cui sembrerebbe opportuno che le parti attendano almeno la sesta conferma o che comunque attendano il numero di conferme necessario a rendere immutabile tale transazione, facendo riferimento al funzionamento tecnico della blockchain utilizzata, al fine di avere un sufficiente grado di definitività della prestazione.
Le parti che decidono di adottare questo strumento dovrebbero essere consapevoli del suo funzionamento tecnico; è possibile in sede contrattuale stabilire la quantità di convalide da ritenere sufficienti al fine liberatorio. Una volta raggiunto il numero di conferme prestabilito, l’adempimento si potrà considerare definitivo.
È buona prassi regolare il pagamento tramite criptovalute attraverso delle apposite clausole contrattuali in cui le parti, oltre a stabilire che l’intero o parte della somma dovuta sarà pagata in cypto, definiscano il momento, il tasso di cambio e l’identificazione dei wallet tra i quali avverrà la transazione.
CONCLUDENDO
Le criptovalute, congiuntamente alla tecnologia blockchain, hanno già intrapreso la strada del cambiamento delle relazioni economico-giuridiche tra persone e aziende. Dal punto di vista dei mezzi di pagamento si può quindi parlare di un sistema di free banking di fatto. Si tratterebbe di un canale parallelo rispetto a quello tradizionale, che permetterebbe una maggiore democratizzazione dell’accesso al credito, nuovi sistemi di finanziamento per le imprese, ecc. ecc..
Purtroppo però ad oggi ci muoviamo in un contesto privo di una normativa certa, almeno per ciò che concerne l’Italia, ed inoltre non bisogna mai commettere l’errore di sottovalutare i rischi dovuti all’estrema volatilità delle criptovalute e della loro complessa natura tecnica.
L’accesso a questi strumenti richiede una preparazione adeguata e un’accettazione del rischio commisurata alle proprie disponibilità.
Il fatto che le crypto siano tornate al centro del dibattito pubblico potrebbe finalmente portare a una maggiore attenzione e sperimentazione positiva della blockchain nei settori in cui potrebbe essere più efficace ed efficiente.